I DPCM  emergenziali alla prova della Costituzione

di Antonio Tallarida 

of Counsel dello Studio Fair Legals

La confusione nella legislazione emergenziale di questi tempi regna sovrana e non sembra avere termine a breve.

Non solo si susseguono compulsivamente una serie di decreti legge (nn. 6, 9, 11, 14, 16, 18, 19, 22, 23, e 28, tra fine febbraio e fine aprile 2020), faticosamente convertiti in legge a colpi di fiducia o ancora in corso di conversione, con ingorgo nei lavori parlamentari, presto modificati dal successivo quando non abrogati, ma soprattutto abbiamo dovuto assistere alla proliferazione di DPCM adottati dal Presidente del Consiglio senza neanche che fosse stata richiesta la previa delibera del Consiglio dei Ministri, sulla base di valutazioni di un estemporaneo Comitato tecnico scientifico e sulla proposta dei singoli Ministri competenti (v., tuttora in vigore, DPCM 8.3.2020, 9.3.2020, 11.3.2020, 22.3.2020, 1.4.2020, 10.4.2020, 26.4.2020).

Tale bulimica produzione – cui si aggiungono le ordinanze e i decreti del Ministro della salute, i decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro per lo sviluppo economico, le circolari del Ministro dell’interno, gli atti di indirizzo del Ministro per la P.A., le ordinanze delle Regioni, i provvedimenti dei singoli Comuni – appare supportata dalla convinzione più volte espressa dal Premier secondo cui “c’è una copertura legale nei decreti legge che hanno dichiarato lo stato di emergenza per 6 mesi, una base che ci fa superare qualsiasi riserva di costituzionalità” (Corriere della sera del 1° maggio 2020 n. 104, pag. 3). Ma è proprio così?

Anzitutto occorre sottolineare che detti decreti presidenziali incidono pesantemente su varie libertà costituzionali quali la libertà di domicilio, la libertà di circolazione in tutto il territorio nazionale, la libertà di espatrio, la libertà di riunione pacifica e senz’armi, la libertà di culto, la libertà di iniziativa economica privata. Essi inoltre ledono alcuni rilevanti principi costituzionali, quali il diritto al lavoro (art. 4), lo sviluppo della cultura (art. 9), il diritto all’istruzione (art. 34), il diritto alla formazione professionale (art. 35), la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Autonomie (art. 117) e amministrative tra Stato e Autonomie territoriali (art. 118) e forse anche altri.

Occorre allora domandarsi se la giustificazione addotta dal Premier sia corretta e sostenibile in tutti i casi di limitazione o impedimento dell’esercizio delle guarantigie costituzionali sopra evidenziate.

Preliminarmente va detto che è inesatta l’affermazione sullo stato di emergenza. Questo non è stato dichiarato da alcun decreto legge ma solo presupposto, perché esso è stato dichiarato per 6 mesi con Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 (in G.U. n. 26 del 1.2.2020), ai sensi del d. lgs. 2 gennaio 2018. n. 1. Fin qui, a parte la svista comprensibile nel momento, nulla quaestio.

In realtà i DPCM si basano su apposite disposizioni incluse nei singoli decreti legge che demandano l’adozione delle misure restrittive a uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta dei vari Ministri competenti e del Presidente della singola Regione coinvolta o del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (v. art. 3 d.l. n. 6 del 2020).

Ciò posto, è vero che si tratta di libertà e diritti protetti da riserva di legge non assoluta, ma solo relativa o relativa rinforzata (ad es. art. 16 Cost.), per cui è consentito che misure limitative possano essere disciplinate con normazione secondaria. MA spetta alla legge stabilire quali sono i divieti e le limitazioni da applicare, e non limitarsi a indicare quali possono o potrebbero essere a discrezione (o arbitrio) dell’Autorità amministrativa, senza alcun controllo parlamentare.

Il rinvio ai decreti del presidente del Consiglio contenuto in alcuno di detti d. l. appare infatti alquanto discutibile sotto più profili:

– anzitutto, il provvedimento previsto integra una fonte normativa che non trova una specifica disciplina in alcuna legge. La legge n. 400/1988 sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio non prevede questa attribuzione tra quelle del Presidente ma si limita a dire in via residuale che questo esercita le altre attribuzioni previste dalla legge (art. 5, comma 4) né prevede questa tipologia di fonte nella parte relativa ai regolamenti (art. 17). È vero che l’o.g. conosce altre fonti normative oltre quelle codicistiche (art. 1 preleggi cod. civ.), come le ordinanze di protezione civile, ma anche queste devono rispettare i principi generali dell’o. g. e le norme dell’U.E. (art. 25, comma 1, cod. prot. civ.).

le disposizioni dei vari d.l. adottati in materia sono delle norme in bianco, in quanto non dispongono il divieto o la limitazione, salvo demandarne l’attuazione alla fonte secondaria, ma si limitano ad individuare le possibili e svariate misure restrittive demandando la decisione sulla scelta e le relative modalità attuative al Presidente del Consiglio con l’unico criterio che la misura debba essere “adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica” (così art. 1 d.l. n. 6/2020) o “secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus” (art. 1 d.l. n. 19/2020). Si delega perciò la scelta politica della limitazione all’Autorità amministrativa non la sola sua attuazione in concreto.

questo modus operandi finisce con il privare il Parlamento della sua funzione primaria, ossia della potestà legislativa in materie molto delicate, che riguardano libertà e diritti costituzionali, sostanzialmente svuotando le varie riserve di legge previste in Costituzione. Non solo, ma la stessa Politica rinuncia dichiaratamente a decidere rimettendosi in tutto e per tutto alle valutazioni di un Comitato tecnico-scientifico, per di più non istituzionale, e che quindi pur essendo rispettabile non è certo dotato di incontestabilità. E alla fine di chi sarà la responsabilità? Del politico o dello scienziato?

– si viene infine ad interferire sulle attribuzioni costituzionalmente riservate alle Regioni in materie di legislazione concorrente (sicurezza del lavoro, professioni, salute, sport, valorizzazione dei beni culturali, ecc.) e residuale (commercio, turismo) e sulle potestà amministrative delle Autonomie locali, finendo con l’accentrare tutto su un unico soggetto statale, ben poco garantendo il “sentito il Presidente della Conferenza delle Regioni”, senza rispettare le note condizioni che legittimano l’attrazione della competenza allo Stato, di cui alla nota giurisprudenza della Corte costituzionale.

Come si vede ce n’è abbastanza per dubitare seriamente della correttezza di questi decreti, pur tenendo conto che sono stati adottati sotto la pressione della pandemia, ed è necessario porre fine subito a questo sistema di legiferare e decretare e tornare alle sane ordinarie e straordinarie prassi costituzionali.

Ciò è tanto più opportuno e necessario dal momento che la stessa urgenza e disinvoltura normativa non sembra certo essere stata sentita e adottata nelle misure di sostegno economico alle imprese e ai lavoratori, agli artigiani, ai professionisti travolti dal lockdown così imposto e rimaste incagliate nei meandri della burocrazia o nella penuria delle risorse loro dedicate. E’ l’ora di cambiare spartito!